In tutto il mondo, la militarizzazione dei confini costringe sempre più migranti ad attraversare terreni pericolosi come mari, catene montuose e deserti. Negli ultimi anni, diverse migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversare questi ambienti ostili, le cui geografie materiali vengono oramai considerati strumenti chiave dell’apparato di controllo dei confini. Allo stesso tempo, le geografie urbane del Nord Globale sono attraversate da una generalizzata atmosfera di ostilità verso coloro classificati come stranieri, che sono sempre più esclusi da forme di protezione sociale attraverso leggi che negano loro ogni forma di accesso legale a lavoro, casa, servizi e scuole. Il progetto HEMIG parte dal concetto di “ambiente ostile”, inizialmente introdotto nel Regno Unito per riferirsi a tali leggi, per tentare di forgiare una lente concettuale e analitica che possa cogliere questi processi distanti ma interconnessi, attraverso cui spazi “naturali” e civici sono stati trasformati in luoghi inospitali grazie a processi estrattivi, tecnologie di sorveglianza, pratiche di controllo dei confini e burocratiche. In opposizione alle prospettive catastrofiste e securitarie che dominano i dibattiti su questi temi, HEMIG si propone di sviluppare delle strategie artistiche di analisi visiva e spaziale per catturare l’intreccio di violenza di confine e ambientale e i gli effetti dannosi che questa produce. Un team interdisciplinare studierà tre confini ambientali lungo un percorso immaginario che unisce l’Africa subsahariana e l’Europa, producendo nuovi spazi concettuali per ripensare la relazione fra ambiente e migrazioni, ed intervenendo in dibattiti pubblici sul costo umano e ambientale del regime di controllo dei confini.