In anni recenti, l’esecuzione delle opere liriche della grande tradizione melodrammatica ottocentesca è stata oggetto di atteggiamenti contrapposti: da un lato, il rispetto rigoroso del testo musicale scritto dall’autore; dall’altro, l’adesione a una prassi esecutiva novecentesca che da quel testo si allontana, con soppressioni e aggiunte. L’esecuzione “alla lettera” è frutto di istanze filologiche a salvaguardia delle sempre più diffuse edizioni critiche dei testi operistici; l’esecuzione “con licenze creative” si rifà a tradizioni orali ininterrotte cresciute sul campo, nella pratica teatrale quotidiana. I fautori della prima tendenza (soprattutto fra i musicologi e fra qualche direttore d’orchestra più rigoroso) si contrappongono ai fautori della seconda (perlopiù i cantanti, ma anche il pubblico), con poche occasioni di dialogo.
Uno sguardo meno manicheo al problema rivela però che molte pratiche tramandate dalla più vieta tradizione altro non sono che il residuo di prassi esecutive antiche, a loro volta oggetto di studio e venerazione da parte di musicologi ed esecutori per quanto attiene a epoche precedenti il Romanticismo musicale, e tuttavia bollate come “cattivo gusto” degli interpreti quando si entra nell’epoca in cui culto dell’autore e assolutizzazione del testo prendono il sopravvento.
L’esecuzione ottocentesca delle opere di Giuseppe Verdi (1813-1901) si propone come un caso di studio particolarmente interessante: da un lato abbiamo notizia che gli interventi sul testo erano all’ordine del giorno; dall’altro Verdi stesso ha lasciato dichiarazioni che lo mostrano decisamente contrario alla prassi esecutiva corrente e che vengono oggi utilizzate come sostegno estetico dai fautori di un’esecuzione fedele al testo scritto.
Ciò che l’uno e l’altro partito sembra invece ancora ignorare è una serie di documenti che mostrano un Verdi molto più vicino alla pratica esecutiva coeva di quanto la manciata di sue dichiarazioni a livello teorico farebbe supporre.
Il dubbio è allora su come vada interpretato il concetto di “fedeltà al testo” per Verdi e per i suoi interpreti: quale fosse cioè per loro il limite discriminante fra “fedele” e “infedele”, e quale esso sia invece oggi per noi (con il rischio di sovra-interpretare le intenzioni di Verdi).
Il progetto prevede dunque le seguenti fasi:
- individuare tutte le testimonianze di Verdi sull’estetica esecutiva della musica;
- raccogliere quante più possibili fonti su come di fatto venissero eseguite le sue opere nell’Ottocento;
- fornire strumenti utili agli esecutori moderni per un’esecuzione “consapevole” e “storicamente informata” delle opere di Verdi e della sua epoca.
Unità di ricerca
Università di Bologna: Marco Beghelli (Principal Investigator), Saverio Lamacchia
Università di Ferrara: Alessandro Roccatagliati (Responsabile unità di ricerca)